Decantazione

Attraverso la pigiatura delle uve, si estrae un mosto piuttosto torbido; questo mosto in sospensione, presenta particelle di diversa natura: terra, frammenti di buccia e di raspo, residui cellulari derivati dalla polpa dell’acino, resti insolubili dei prodotti dei trattamenti della vigna, sostanze pectiche. Nel caso di uve attaccate da marciume, ad aumentare la torbidità del mosto intervengono anche i polisaccaridi prodotti da Botrytis cinerea nella bacca.
L’azione delle pectinasi naturali dell’uva (o apportate dal cantiniere) sul tessuto colloidale del mosto, facilita la chiarifica del mosto, attraverso il meccanismo di sedimentazione delle particelle; dopo alcune ore di riposo, il mosto si separa in due fasi: un surnatante abbastanza limpido e le fecce.
La sfecciatura propriamente detta consiste nel separare il succo chiaro dalle proprie fecce, prima della fermentazione.
La quantità di fecce formate nel corso dell’estrazione del succo e la rapidità del loro deposito dipendono dal vitigno, dallo stato sanitario delle uve, dalla loro maturità, dalla temperatura utilizzata durante la sfecciatura e soprattutto dalle condizioni di lavorazione dell’uva (pigiatura, sgrondatura, pressatura).
Ad esempio la quantità di fecce ottenute dopo una sfecciatura statica a freddo è intorno al 5%.
È importante valutare, dopo la sfecciatura, che il succo abbia un buon livello di limpidezza per evitare che, successivamente, i vini manifestino un colore imbrunito, degli aromi pesanti e sapori amari.
 
Generalmente il procedimento più semplice di illimpidimento dei mosti è la decantazione statica a freddo, vale a dire la sedimentazione delle fecce promossa dalle basse temperature con precipitazione e formazione di un deposito.
Il raffreddamento del mosto a una temperatura compresa tra i 4-8 °C per una durata di 12-24 ore, si effettua per limitare le ossidazioni, accelerare il processo di decantazione e ritardare la partenza della fermentazione alcolica.
L’individuazione precisa del livello di limpidezza necessita dell’impiego di un nefelometro, apparecchio di cui tutte le cantine di vinificazione in bianco dovrebbero essere dotate; la zona di torbidità ottimale è da 100 a 250 NTU.
Esistono altri procedimenti di illimpidimento dei mosti che richiedono apparecchiature più o meno ingombranti: centrifugazione, filtrazione, flottazione. Generalmente, essi non danno mai risultati altrettanto buoni per la qualità dei vini come la sfecciatura statica.
Il volume dei depositi fecciosi, alla fine della sfecciatura statica, rappresenta una proporzione non trascurabile e che può essere ancora utilizzata. La loro chiarificazione si effettua con dei filtri per fecce appartenenti a due categorie: i filtri a tamburo rotativo e i filtri pressa, entrambi funzionanti con della perlite come coadiuvante di filtrazione.
Questi due procedimenti permettono di ottenere dei mosti di torbidità bassa (inferiori a 20 NTU) permettendo l’assemblaggio con i mosti chiarificati dalla sfecciatura statica senza che si possa, né all’analisi, né alla degustazione, notare differenze tra i vini ottenuti.
Generalmente i filtri pressa sono d’impiego più facile dei filtri a tamburo rotativo, particolarmente per le piccole cantine, avendo come vantaggio la possibilità di lavorare totalmente al riparo dall’aria.

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